L'ordine di demolizione dell'immobile ed i rapporti con il denunciante
- Avv Aldo Lucarelli
- 7 mag
- Tempo di lettura: 3 min
Edilizia e urbanistica – Ordine di demolizione – Denunciante – Intervento in causa – Legittimazione – Esclusione
Il mero denunciante di un illecito edilizio non può intervenire ad opponendum nel relativo giudizio avverso l'ordinanza di demolizione proposto dal suo destinatario. (CdS 1260/2020).
L’interesse ad agire va dimostrato ovvero desunto dagli atti di causa in base ad una disamina effettuata in concreto, dalla quale emerga il pregiudizio che la parte finirebbe per ricavare dalla mancata esecuzione di un atto sanzionatorio.
Esso non può essere presunto dalla qualifica di denunciante un abuso edilizio, ancorché la vigilanza del Comune sia stata compulsata a tutela della propria proprietà. In sintesi, ciò che giustifica e legittima l’intervento ad opponendum ovvero l’impugnativa dell’atto sanzionatorio con diverso destinatario, non implica automaticamente l’acquisizione della qualifica di contraddittore necessario in un giudizio proposto da altri. D’altra parte, un indiscriminato ampliamento del novero dei contraddittori necessari dal lato passivo (ferma ovviamente come detto la loro, più estesa, facoltà di intervenire volontariamente nel giudizio ad opponendum ove vi abbiano interesse) rischierebbe di risolversi nel corrispondente restringimento, quantomeno fattuale, della possibilità di agire utilmente in giudizio da parte del destinatario del provvedimento sanzionatorio, e dunque in un’indiretta limitazione del diritto di difesa in giudizio dei propri diritti e interessi, costituzionalmente garantito.
Le modalità di esecuzione della demolizione, anche nei casi più gravi, deve essere vagliata, caso per caso, sulla base della sua frazionabilità, ovvero della sua realizzabilità in concreto senza attingere la parte legittima, intesa come la parte del manufatto che si sarebbe potuta realizzare regolarmente. (2).La disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni, che completa la parte definitoria degli interventi, contempla tre fattispecie ordinate secondo la loro gravità, per le quali è comunque prevista, almeno in via astratta, l’ingiunzione a demolire l’opera realizzata: l’ipotesi di interventi in assenza di permesso o in totale difformità; l’ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio; l’ipotesi residuale della parziale difformità da esso. Le modalità di esecuzione della demolizione anche nei casi più gravi deve essere vagliata caso per caso sulla base della sua frazionabilità, ovvero della sua realizzabilità in concreto senza attingere la parte legittima, intesa come parte del manufatto che si sarebbe potuto realizzare regolarmente. Ciò appare sicuramente più semplice laddove la difformità totale consegua alla realizzazione di una superfetazione immobiliare, che se sono state alterate radicalmente le connotazioni strutturali e morfologiche dell’unico fabbricato, nel qual caso è evidente che pur in assenza di specificazioni da parte dell’amministrazione la demolizione/ripristino non potrà che essere radicale. In tale direzione depongono, mutatis mutandis, i principi di proporzionalità e conservazione da ultimo richiamati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, laddove ha differenziato le ipotesi riconducibili all’avvenuta edificazione di un fabbricato rimasto incompiuto e non ultimabile giusta l’avvenuta decadenza dal titolo edificatorio (Cons. Stato, A.P., 30 luglio 2024, n. 14).
Ciò vale a maggior ragione nei casi in cui gli interventi non costituiscono ex se variazioni essenziali, ma vengono comunque equiparati alle stesse per così dire ope legis, come avveniva per le parziali difformità in zone vincolate. (CdS 1214/2025)

Lo spartiacque tra le due tipologie di abusi, e il differente procedimento sanzionatorio attivato, è rappresentato da un lato dalla possibilità di monetizzazione dell’abuso (c.d. “fiscalizzazione”) prevista solo in ridetta ipotesi per i casi in cui la demolizione «non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità» (art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001); dall’altro, dalle conseguenze dell’inottemperanza alla sanzione ripristinatoria, che esclusivamente ove si versi in una situazione di totale difformità o variazione essenziale (oltre che, ovviamente, di radicale mancanza del permesso di costruire) sfocia nell’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime al patrimonio del Comune. Saranno cioè le Amministrazioni vigilanti ad indicare l’esatto oggetto della demolizione in quanto identificabile con la parte difforme, ancorché radicalmente difforme, salvo le divergenze esecutive siano tali da compenetrare inscindibilmente il realizzato nell’assentito, neutralizzando in toto la portata abilitativa di quest’ultimo. (Cds 2021, n. 4279)
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